Il Calcio

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Pieer P@zzo
view post Posted on 19/6/2007, 09:28     +1   -1




Il calcio è un gioco sportivo nel quale si fronteggiano due squadre composte ciascuna da undici giocatori. Per praticarlo sono utilizzati un pallone sferico ed un campo di gioco con due porte. È adottata una serie di regole codificate e l'obiettivo del gioco è quello di segnare più punti (goal) dell'avversario facendo passare il pallone fra i pali della porta avversaria.

È sport olimpico dalla II Olimpiade moderna.

Di origine arcaica, in uso presso gli antichi Romani con l' harpastum, nel quale due fazioni dovevano portare una palla oltre la linea di fondo avversaria e nel quale prevaleva l'aspetto antagonistico rispetto a quello agonistico, veniva probabilmente abbozzato, in seguito, per quello che conosciamo al giorno d'oggi durante il Medioevo in Italia (vedi Calcio fiorentino), ma la sua affermazione moderna e codificata si ebbe in Inghilterra, alla metà del XIX secolo e da allora si diffuse dapprima nel resto d'Europa e in Sud America e poi in tutto il mondo.

La competizione calcistica più importante è il Campionato mondiale di calcio, che si disputa ogni quatro anni sotto l'egida della FIFA, il massimo organismo calcistico mondiale. Si tratta dell'evento sportivo più seguito in assoluto (vedi [1]).

Il calcio è un gioco sportivo nel quale si fronteggiano due squadre composte ciascuna da undici giocatori. Per praticarlo sono utilizzati un pallone sferico ed un campo di gioco con due porte. È adottata una serie di regole codificate e l'obiettivo del gioco è quello di segnare più punti (goal) dell'avversario facendo passare il pallone fra i pali della porta avversaria.

È sport olimpico dalla II Olimpiade moderna.

Di origine arcaica, in uso presso gli antichi Romani con l' harpastum, nel quale due fazioni dovevano portare una palla oltre la linea di fondo avversaria e nel quale prevaleva l'aspetto antagonistico rispetto a quello agonistico, veniva probabilmente abbozzato, in seguito, per quello che conosciamo al giorno d'oggi durante il Medioevo in Italia (vedi Calcio fiorentino), ma la sua affermazione moderna e codificata si ebbe in Inghilterra, alla metà del XIX secolo e da allora si diffuse dapprima nel resto d'Europa e in Sud America e poi in tutto il mondo.

La competizione calcistica più importante è il Campionato mondiale di calcio, che si disputa ogni quatro anni sotto l'egida della FIFA, il massimo organismo calcistico mondiale. Si tratta dell'evento sportivo più seguito in assoluto


Sinossi

Campo da gioco
Il calcio, si gioca su un campo rettangolare di dimensioni mediamente sui 105x65 m. Il terreno,deve essere ricoperto d'erba naturale. Non mancano le eccezioni in ambito nazionale, a Mosca il campo è in materiale sintetico e negli USA sono stati ampiamente sperimentati e poi abbandonati i campi con tappeto in erba sintetica Il Terreno viene delimitato ai lati da righe bianche tracciate con pigmenti bianchi (solitamente in gesso o vernice), ed è caratterizzato da due portali rettangolari (comunemente porta da calcio) muniti di reti nella parte posteriore ed esterna al terreno di gioco. Si gioca attivamente sul campo con l'uso di una sfera (comunemente pallone da calcio).


Scopo del gioco
Lo scopo del gioco è di far entrare la sfera (originariamente una palla di cuoio) nella porta avversaria, delimitata da due pali verticali congiunti da una traversa superiore che li unisce.
La regola principale che caratterizza e differenzia questo sport rispetto al Rugby e Pallamano è che la palla non può essere colpita con braccia e mani; per lo più si usano i piedi ma ogni altra parte del corpo è ammessa. Il giocatore deputato al ruolo di portiere è l'unico che può toccare il pallone con le mani, ma solo all'interno della propria area di rigore (un rettangolo prospiciente la porta delimitato anch'esso da righe bianche).


Ruoli
Sono 4 i principali ruoli del calcio: il portiere, il difensore, il centrocampista; l'attaccante. .
I giocatori vengono messi in campo secondo delle tattiche, oggi comunemente indicate con tre o più numeri e fino agli anni cinquanta designate da termini quali Metodo, Sistema, Piramide.


Durata del gioco
Le partite della variante canonica principale del calcio durano novanta minuti e sono suddivise in due frazioni (comunemente tempi) di quarantacinque minuti ciascuna, intervallati da un periodo di riposo non superiore ai quindici minuti. Prima della fine dei due tempi, il giudice di gioco (comunemente l'arbitro) decide se concedere un periodo di estensione del tempo di gioco (comunemente recupero) come parziale contropartita al tempo perso per sostituzioni, infortuni o quant'altro si verifichi durante il gioco e sia causa di arresto temporaneo della partita. Abitualmente sono concessi da uno a cinque minuti per tempo. Il tempo di gioco effettivo è sempre inferiore a quarantacinque minuti poiché il cronometro ufficiale non può essere mai fermato, come accade per esempio nel basket; in caso contrario la partita viene sospesa temporaneamente e ripresa, nel conteggio del tempo, dal momento della sospensione. in caso di impossibilità di proseguire normalmente il gioco essa può essere definitivamente sospesa con decisione autonoma dell'arbitro o dopo consultazione dello stesso arbitro con i capitani delle due squadre. L'arbitro è anche il cronometrista ufficiale della partita.


Casi particolari
In competizioni che prevedono l'eliminazione diretta ed esigono un vincitore della gara, attualmente si ricorre di solito a tempi supplementari (due tempi di quindici minuti ciascuno) e, in caso di ulteriore parità, si passa ai calci di rigore per stabilire il vincitore. Precedentemente era in vigore un sistema casuale per determinare la squadra vincente basato sul lancio di una monetina: il cosiddetto "Testa o croce".


Varianti principali
Alcune varianti nel meccanismo dei tempi supplementari, introdotte dalla seconda metà degli anni novanta prevedono il silver gol: la squadra che riesce a terminare in vantaggio il primo tempo supplementare si aggiudica l'incontro senza bisogno di disputare il secondo tempo supplementare, ed il golden gol: la prima squadra che segna nei supplementari si aggiudica l'incontro e la partita finisce immediatamente. Queste modifiche regolamentari sono state abolite nel 2004.
Degne di nota sono anche le varianti che riguardano il numero dei giocatori schierati, in numero di 7 (calcio a sette) o di 8 (calciotto) in voga tra i giovani e dilettanti, ma soprattutto in numero di 5 (calcio a cinque, comunemente detto calcetto) nella forma che è attualmente tra le più popolari e seguite fra le varianti emergenti.


Diffusione
Il calcio si gioca a livello professionistico in tutto il mondo. Milioni di persone vanno regolarmente allo stadio per seguire la propria squadra del cuore, e molte altre guardano le partite in televisione. C'è anche un elevatissimo numero di persone che gioca al calcio a livello amatoriale. Non c'è dubbio che la popolarità di questo sport continui a crescere continuamente. In Africa, Asia e Stati Uniti l'interesse sta crescendo sempre più negli ultimi anni. Non a caso, nel 2010 il Sudafrica ospiterà la manifestazione più importante del calcio: i Mondiali di calcio.


Nascita del calcio moderno
La patria del calcio moderno è l'Inghilterra, e in particolare, i college britannici, nei quali ci si ispirò al calcio fiorentino che veniva praticato a Firenze, nel periodo medievale. Nasce come sport d'élite: erano i giovani delle scuole più ricche e delle università a giocare al football. Le classi erano sempre composte da dieci alunni, e a questi si aggiungeva il maestro che giocava sempre insieme a loro. Ecco spiegato perché si gioca in undici. Il capitano di una squadra di calcio è una sorta di discendente del maestro della public school.

Il portiere: ultimo baluardo a difesa della portaNel 1848, all'Università di Cambridge, H. de Winton e J.C. Thring, proposero, e ottennero, di fare una riunione con altri dodici rappresentanti di Eton, Harrow, Rugby, Winchester e Shrewsbury. L'incontro durò otto ore e produsse un importante risultato: vennero infatti stilate le prime basilari regole del calcio.

Queste regole posero fine al dubbio che riguardava la parte del corpo con la quale colpire la palla: con le mani, con i piedi o entrambi indifferentemente? Le cosiddette regole di Cambridge favorivano chiaramente il gioco con i piedi e permettevano il gioco con le mani solo nel momento in cui era necessario catturare un pallone chiaramente indirizzato in porta, come su un calcio di punizione diretto.

Queste regole furono adottate da tutti eccetto che dall'Università di Rugby, i cui rappresentanti erano chiaramente a favore di un gioco più fisico e che consentisse di toccare il pallone anche con le mani. Si produsse così lo scisma che portò alla nascita del rugby, sport che prende il nome dall'Università che l'ha sviluppato.

Il 26 ottobre 1863 a Londra venne fondata la Football Association, prima federazione calcistica nazionale, nel 1886 le Federazioni britanniche diedero origine all'International Football Association Board, con il compito di sovraintendere al regolamento, ed infine nel 1888 si tenne il primo campionato inglese, secondo la formula tuttora in vigore.

Il calcio intanto si espandeva a macchia d'olio: in Inghilterra ben presto divenne lo sport per eccellenza della working class e non solo delle èlite. Questo nuovo gioco, divertente, semplice e stancante era l'ideale per sfogarsi dopo una settimana lavorativa.

Dall'Inghilterra il calcio venne esportato in tutta Europa ad opera di emigrati di ritorno dall'Inghilterra stessa e che furono tra i primi a conoscere il football, o su iniziativa degli stessi inglesi che si trovavano all'estero.

In Sudamerica, i marinai inglesi preferivano giocare a calcio tra di loro lasciando da parte la gente del posto. Ma rimanere fuori a guardare si rivelò decisivo: ben presto, brasiliani e uruguaiani diventarono ben più abili dei maestri nel praticare il calcio.

Il fenomeno ormai era di dimensioni intercontinentali, ed era necessario adattare le istituzioni calcistiche e chiarire in maniera più dettagliata le regole. In questi anni infatti, erano svariate le interpretazioni del gioco.

Finalmente, anche a questo scopo, nel 1904 si costituì la Federation Internationale de Football Association (FIFA), cui si affiliarono le varie Federazioni nazionali.


Le origini del calcio in Italia
Il Genoa Cricket and Football Club, primi campioni d'Italia

Edoardo Bosio e il calcio a Torino
Edoardo Bosio, nato a Torino nel 1864, diplomato in ragioneria, commerciante, personaggio di spicco della Società Canottieri Armida, aveva cominciato a lavorare per una ditta britannica di prodotti tessili, che gli diede l'opportunità di un lungo soggiorno in Inghilterra, durante il quale ebbe l'occasione di frequentare gli ambienti calcistici di quel paese. Tornò a Torino nel 1887 con il ricordo dei verdi campi inglesi di football e con qualche pallone di cuoio, oggetto pressoché sconosciuto all'epoca in Italia, animato dalla volontà di diffondere la nuova disciplina sportiva: fu così che nello stesso 1887 nacque un nuovo gruppo sportivo che praticava il canottaggio d'estate e il football d'inverno. Nel 1889, ancora a Torino, nacque un'altra compagine calcistica, la squadra dei Nobili, così chiamata perché istituita e partecipata da diversi nobili, condotti dal duca degli Abruzzi e dal marchese Ferrero di Ventimiglia. Nel 1891 le due squadre si fusero dando vita all'Internazionale Football Club di Torino, una delle poche società che praticò fin dalle origini la sola specialità del calcio. Nella squadra militavano, fianco a fianco, nobili e lavoratori di una fabbrica che produceva articoli di ottica: le prime partite si giocavano in Piazza d'Armi, poi al Valentino e più tardi nel vecchio Stadium. Nel 1894 nasce il Football Club Torinese e nel 1897 costituirà una propria "sezione calcio" anche la Reale Società Ginnastica Torino, prima società ginnica italiana, nata nel 1844 allo scopo di insegnare la ginnastica agli allievi dell'Accademia Militare. Nel 1900 il Football Club Torinese, a sua volta, assorbì l'Internazionale Football Club.


Il calcio approda a Genova e a Vercelli
La prima città interessata dall'arrivo della nuova disciplina sportiva inglese è Genova, grande porto del Mediterraneo e meta privilegiata per gli scambi commerciali, dove i mercanti e i marinai inglesi si cimentano in improvvisate sfide che incuriosiscono gli spettatori locali. La Ginnastica Sampierdarenese, fondata nel 1891, aprì la rispettiva sezione calcio nel 1899. Il 7 settembre 1893 alla presenza del console inglese Sir Charles Alfred Payton nella città ligure era nato intanto il Genoa Cricket and Athletic Club, che tre anni dopo aprirà la sezione calcio ad opera dell'inglese James Richardson Spensley, il quale in data 2 gennaio 1899 fece assumere alla società il nome di Genoa Cricket and Football Club che diviene a tutti gli effetti, quindi, la prima squadra di calcio italiana. Anche i ginnasti della Società Andrea Doria, fondata nel 1895, iniziarono ad allargare le discipline praticate, dedicandosi pure al calcio, occupando a tale scopo lo spazio dell'attuale piazza Verdi, di fronte al quale si stava costruendo la stazione di Genova Brignole. L'Andrea Doria non partecipò ai primi campionati organizzati dalla Federazione Italiana del Football (F.I.F.) poiché si iscrisse invece ai tornei di calcio organizzati direttamente dalla Federazione Italiana di Ginnastica, alla quale appunto aderiva. Sempre a Genova la Ginnastica Sampierdarenese, fondata nel 1891, aprì la rispettiva sezione calcio nel 1899. In modo pressoché parallelo al Genoa. A Vercelli, nel 1892, nasce la Società Ginnastica Pro Vercelli che nel 1903 istituirà anche una sezione per il calcio diventando subito una tra le squadre di maggior valore nei primi decenni del novecento.


La Juventus
All'inizio dell'anno scolastico 1897/98, per l'esattezza in data 1 novembre 1897, alcuni allievi del Liceo Massimo D'Azeglio di Torino decisero anch'essi di dare origine a una loro società. Per la scelta del nome, quello di Sport Club Juventus fu preferito alle altre due ipotesi che erano in campo: Società Massimo D'Azeglio e Società via Fort. Gli aderenti al club trovarono ospitalità presso il negozio di velocipedi dei Fratelli Canfari in corso Re Umberto n. 42. Dai Canfari, appassionati di ciclismo e di sport in generale (Enrico ricopriva un incarico ufficiale nell'Unione Pedestre Italiana) giunsero i primi finanziamenti che, pochi anni dopo, consentirono il trasferimento della sede in piazza Solferino n. 20. Eugenio Canfari fu il primo presidente ed il campo di calcio era nel Giardino della Cittadella; la prima divisa da gioco fu una camicia bianca con calzoni neri, sostituita due anni dopo da una maglia rosa con cravatta e berretto, abbandonata nel 1903 poiché il colore rosa fu ritenuto non virile: una ditta di Nottingham, specializzata in abbigliamento sportivo, fu incaricata della fornitura di una nuova divisa per la squadra torinese che, per dimenticanza, aveva spedito l'ordinazione senza precisare il colore prescelto. La ditta inglese inviò allora a Torino lo stesso equipaggiamento fornito alla squadra del Notts County, rendendo di fatto e per sempre la Juventus "bianconera".


Il "nuovo" Torino
Il Torino Football Club nacque il 3 dicembre 1906, presso la birreria Voigt di via Pietro Micca angolo via Botero, dalla fusione tra il Football Club Torinese, di cui era vicepresidente Hans Schoenbrod, ed alcuni "dissidenti juventini" tra cui lo stesso presidente Alfredo Dick. Schoenbrod fu il primo presidente del club e la squadra esordì il 16 dicembre in una gara amichevole contro la Pro Vercelli, vinta dai torinesi per 3 a 1. Le divise indossate dai giocatori del Torino nell'incontro di esordio erano di colore nero-arancione, mentre il campo da gioco utilizzato per le partite casalinghe era il velodromo Umberto I "strappato" alla Juventus poiché il contratto d'affitto era intestato all'ex presidente Dick; i granata esordirono nello storico stadio Filadelfia solo vent'anni più tardi, il 17 settembre 1926.


Le regole, i primi tornei, la F.I.F ed i primi Campionati
Con la diffusione della disciplina del calcio divenne sempre più urgente creare delle regole certe, e naturalmente queste vennero per lo più importate dall'Inghilterra. La pubblicazione del primo regolamento del calcio in Italia apparve nel 1895 a Udine ed è dovuto agli ambienti ginnastici. A questo regolamento, che rifletteva correttamente lo spirito e la forma del gioco praticato in Gran Bretagna, si aggiunse un testo di Francesco Gabrielli, che nel 1896 scrisse il primo manuale italiano sul nuovo sport.

Il primo torneo di calcio ufficiale in Italia fu disputato, nel 1896, a Treviso, organizzato dalla Federazione Ginnastica, che continuò a operare fino al 1907 in concorrenza con la Federazione del Football, creata ad hoc per promuovere il nuovo sport. Il concorso trevigiano vide imporsi la squadra della Società Udinese di Scherma e Ginnastica, che giocò dalle 8 alle 13 contro la squadra di Treviso e contro quella di Ferrara: il premio era un gonfalone in seta ricamato dalle signore trevisane. Il torneo calcistico restò un episodio isolato, mentre l'intensificarsi dei rapporti fra le squadre di Genova e Torino diede origine al primo incontro tra Genoa e F.C. Torinese il 6 gennaio 1898 a Ponte Carrega. Il 6 marzo dello stesso anno alle due storiche compagini si unirono le altre squadre torinesi per dar vita a un torneo al velodromo di Torino. L'Archivio Storico conserva alcuni interessanti documenti tra cui una lettera, datata 1 marzo 1898, inviata al sindaco dal vice presidente del Football Club Torinese, Alfonso Ferrero di Ventimiglia, che richiedeva l'intervento di otto guardie municipali per garantire l'ordine all'interno del velodromo. In risposta il sindaco accordava le guardie, a patto che i richiedenti si assumessero le spese del servizio. Seguì una trattativa che finì con l'ingaggio di sole tre guardie municipali per cui Ferrero di Ventimiglia si dichiarava "pronto a soddisfare il regolare pagamento" che ammontava a 6 lire. Dalle cronache si apprende che "in 135 minuti erano stati disputati ben tre incontri a cui aveva assistito un pubblico scarso ma qualificato, che non aveva creato problemi alle forze dell'ordine".

Pochi giorni dopo (il 16 marzo 1898) a Torino nasceva la Federazione Italiana del Football (F.I.F.), sotto la presidenza dell'ingegnere Mario Vicary, formata dai rappresentanti di F.C. Torinese, Internazionale, Società Ginnastica Torinese e Genoa allo scopo di organizzare le attività calcistiche e di garantire il rispetto delle regole del gioco. La sede della F.I.F. - che nel 1909 assunse il nome di FIGC, Federazione Italiana Gioco Calcio - fu stabilita a Torino presso l'emporio di Adolfo Jourdan specializzato nella vendita di scarpe, cappelli, "chincaglierie in generi di lusso, finticolli, polsini, cravatte e camicie". Primo atto della neonata Federazione fu l'istituzione del campionato italiano di calcio, dedicato al duca degli Abruzzi.

Il primo Campionato ebbe luogo al velodromo di Torino in una sola giornata (l'8 maggio 1898) e con la partecipazione di quattro formazioni (F.C. Torinese, l'Internazionale, il Genoa e la Società Ginnastica Torinese): il Genoa prevalse nella partita finale per 2 reti a 1, dopo i tempi supplementari, aggiudicandosi il primo titolo italiano.

Il secondo campionato si disputò a Torino il 2 e il 9 settembre 1899 e il Genoa si aggiudicò nuovamente il titolo, fra accese contestazioni sull'operato dei giudici seduti alle spalle dei portieri, il cui compito era stabilire se il pallone avesse o meno varcato completamente la linea di porta. Di lì a pochi anni l'arbitro, investito di maggiore autorità, avrebbe assunto anche le funzioni dei giudici di porta decretandone di fatto la scomparsa.

Da allora il campionato venne disputato annualmente, con formule varie, ma bisogna arrivare al 1913 per assistere al primo campionato su scala nazionale, anche se articolato in due raggruppamenti (quello settentrionale e quello del centro-sud), che fu vinto dalla Pro Vercelli.

Durante la Grande Guerra l'attività calcistica venne interrotta (dal 1916 al 1919); nel campionato 1921-22, furono assegnati due scudetti, da due associazioni diverse che erano presenti contemporaneamente, la C.C.I. e la F.I.G.C. nel 1929 venne introdotta la formula rimasta in vigore, del girone unico con partite di andata e ritorno (allora vedeva la partecipazione di 16 squadre), e venne organizzato il torneo di Serie B.

Nella stagione 1939-40, subito dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nella prima giornata dell'ultimo campionato del periodo di pace pre-bellico, il 17 settembre del 1939, compaiono sulle casacche dei giocatori per la prima volta i numeri. In piena Seconda Guerra mondiale, nel 1945-46 il campionato fu diviso in due: un girone dell'Alta Italia con 14 squadre della vecchia Serie A, ed un girone del Centro-Sud con 11 squadre di Serie A e B. Solo nel 1946-47, la Serie A tornò definitivamente al girone unico come oggi lo conosciamo: ne facevano parte 20 squadre, numero che rimase tale fino al 1951-52. Nel 1922 fu disputata la prima edizione della Coppa Italia, aperta anche a squadre dilettantistiche e vinta dal Vado. Dopo una lunga interruzione il torneo venne riproposto dal 1935 (vittoria del Torino) con cadenza annuale ed aperta a squadre professionistiche.




L'arbitro
Per ogni gara Ufficiale viene designato un Arbitro dal Competente Organo Tecnico dell'Associazione Italiana Arbitri (AIA). L'Arbitro rappresenta la Federazione ed ad esso sono conferiti tutti i poteri per vigilare sul rispetto delle regole del gioco. A seconda della gara, l'Arbitro può godere della collaborazione di due Assistenti che presidiano le linee laterali, e in alcune categorie viene designato anche un Quarto Ufficiale di gara, che, a seconda del regolamento della competizione, è titolato a sostituire uno degli altri Ufficiali di gara qualora essi non siano in grado di svolgere le loro funzioni.

Nel nostro paese, l'arbitro prima di accedere a tale qualifica deve effettuare un lungo corso, gratuito, presso una sezione AIA, durante il quale egli acquisisce una perfetta conoscenza e padronanza delle regole del calcio, e al termine del corso deve sostenere un esame di qualificazione.

All'arbitro spettano tutte le decisioni tecniche e disciplinari legate allo svolgimento di una gara. Egli inizia ad esercitare la sua autorità disciplinare dal momento in cui raggiunge l'impianto sportivo finché non lo abbandona al termine della gara, mentre invece la sua autorità tecnica vige per tutta la durata della gara. L'arbitro vige sul rispetto delle regole del gioco, e quando ravvisa una infrazione alle stesse, è suo dovere comminare la sanzione tecnica prescritta e anche quella disciplinare, se prevista. Tutte le sue decisioni dovute a fatti di gioco sono inappellabili e spettano a lui e solo a lui, anche se egli ha facoltà di avvalersi del giudizio dei sui assistenti ufficiali.

È nei poteri dell'arbitro comandare calci di punizione o di rigore, ammonire o espellere calciatori, allontanare dirigenti, interrompere o sospendere definitivamente la gara.

La figura dell'arbitro in Italia ha subito un totale mutamento nel corso degli anni. Agli inizi del calcio egli era considerato un Giudice, e per tanto, persona rispettabile e rispettata da tutti. Col tempo l'arbitro da Giudice rispettabile è divenuto una figura vista con sospetto e diffidenza, fino ad arrivare ai giorni nostri dove gli arbitri vengono visti con disprezzo, considerati colpevoli delle proprie sconfitte (ma mai delle vittorie..). L'operato dell'arbitro oggi, soprattutto nelle gare del massimo campionato, viene esaminato istante per istante, scomponendo ogni singolo episodio con decine di immagini da ogni visuale, andando a trovare l'errore anche quando non c'è. Purtroppo l'arbitro è chiamato ad esprimere decisioni nell'arco di pochi millesimi di secondo, egli è vincolato ad una sola visuale, e pertanto non sempre l'arbitro è in grado di assumere la giusta decisione, anche per via della sua natura umana.

Recentemente si sta facendo strada il fenomeno della violenza ai danni dei direttori di gara, soprattutto nelle categorie inferiori. Anche se gli organi di informazione non danno molto risalto a questi episodi, i comunicati ufficiali della federazione riportano sempre più spesso gravi episodi di aggressione ai danni di arbitri.


Pallone in gioco e non in gioco
Tutte le linee disegnate sul campo di gioco, sono parte dell'area che delimitano.

Quindi un pallone che percorre una linea laterale è considerato in gioco, un pallone sulla linea dell'area di rigore è decretato essere all'interno l'area di rigore. In definitiva, il pallone deve superare totalmente la linea laterale o di fondo per essere considerato fuori dal gioco e deve superare totalmente la linea di porta per essere considerato in rete. Se anche una minima parte del pallone non ha oltrepassato la linea, è ancora in gioco.


Falli e scorrettezze
L'arbitro ha il potere di punire un calciatore ed anche un allenatore, o un qualsiasi dirigente presente in panchina, per cattiva condotta, gioco violento o proteste. Un arbitro può estrarre il cartellino giallo come ammonizione, e può estrarre il cartellino rosso che comporta l'espulsione del giocatore. Anche un giocatore in panchina può essere punito con i medesimi provvedimenti. Nel caso venga espulso un dirigente o un allenatore, questi verrà allontanato dalla panchina senza l'esposizione del cartellino.

L'espulsione può avvenire direttamente, per condotta violenta, condotta gravemente sleale, o in seguito alla seconda ammonizione ad uno stesso giocatore (doppia ammonizione): due cartellini gialli equivalgono infatti ad un rosso anche se comminati per motivazioni completamente differenti. Ad esempio il fallo di chiara ed evidente azione da rete impropriamente detto da "ultimo uomo", cioè quando si commette uno dei dieci falli punibili con un calcio di punizione diretto su un attaccante che ha una chiara occasione da rete, comporta l'espulsione (cartellino rosso). Tuttavia l'interpretazione di tale fallo resta materia di dubbi e dibattiti e lasciato alla discrezionalità dei giudici di gara, anche perché molto dipende dalla zona del campo in cui l'infrazione è commessa, ad esempio un fallo da "ultimo uomo" commesso nelle vicinanze delle linee laterali comporta solo l'ammonizione. Un esempio di applicazione automatica del regolamento senza discrezionalità è rappresentato dal fatto che esultare dopo un gol levandosi la maglietta della squadra comporta incondizionatamente una ammonizione (cartellino giallo).


Calci di rigore e calci di punizione
Come già detto, se un giocatore subisce fallo che prevede la concessione di un calcio di punizione diretto all'interno dell'area avversaria, l'arbitro concede il calcio di rigore.

Si tratta della massima punizione per una squadra, perché segnare un rigore è relativamente facile. L'attaccante deve tirare dal dischetto situato a 11 metri dalla porta, davanti a sé ha solo il portiere che non può muoversi dalla linea di porta se non lateralmente. Fin quando l'attaccante non ha toccato il pallone in avanti, nessuno può entrare all'interno dell'area ed il portiere non può muoversi in avanti.

L'arbitro fischia un calcio di punizione a favore della squadra che subisce fallo in qualsiasi zona del campo che non sia l'area di rigore (eccetto che si tratti di un calcio di punizione indiretto in area). La squadra che difende può formare una barriera la cui posizione e composizione viene decisa dal portiere, mentre la distanza minima dev'essere di 9,15 metri dalla posizione di battuta, salvo casi particolari in cui la distanza tra il punto in cui si deve battere la punizione e la linea di porta compresa tra i pali è minore di 9,15 metri.


Le scuole calcistiche nel mondo
Il calcio, come detto prima, si è sparso a macchia d'olio su tutto il pianeta coinvolgendo mille popoli diversi. Ciascuno con la propria storia e la propria identità, e quindi anche il proprio modo di interpretare il gioco.

Le scuole calcistiche sono proprio questo: diverse maniere di giocare a pallone, concezioni differenti del gioco.


I maestri inglesi
La scuola inglese è stata a lungo quella dominante. Nei primi 50 anni del passato secolo, affrontare l'Inghilterra o una squadra di club inglese significava andare a lezione di calcio, prendere una enorme quantità di reti e segnarne pochissime, se non nessuna. La ragione è che gli inglesi adottarono prima di chiunque altro la tattica, si disponevano con ordine in campo, sapevano colpire il pallone in modi allora impensabili e, soprattutto, arrivarono prima di tutti gli altri al professionismo.

Nella fase moderna del calcio, la scuola inglese predica un calcio basato molto sulla fisicità, una tecnica di base piuttosto povera e una tradizione di centravanti e di difensori centrali fortissimi di testa, nati per raccogliere o contrastare i lanci lunghi dal centrocampo o dalle fasce. Questa tradizione inglese sta tuttavia scomparendo sotto la spinta di diversi modi di concepire il calcio introdotti in Inghilterra da giocatori e allenatori stranieri, soprattutto francesi nel campionato di calcio inglese che ha elevato, e di molto, il tasso tecnico almeno delle squadre più prestigiose.

Lo schema classico del calcio inglese era, e rimane, il più diffuso: il 4-4-2. Portiere: stella di sempre: Gordon Banks. Difesa: uno dei centrali si stacca di qualche metro indietro, i terzini raramente superano la metacampo. Stella di sempre: Bobby Moore. Centrocampo: disposto in linea. Uno dei centrali ha funzione difensiva, l'altro si inserisce in area avversaria durante la fase di attacco. Gli esterni sono ali pure, preferibilmente veloci e abili nel dribbling. Stella di sempre: Stanley Matthews. Attacco: ci si affida ad attaccanti abili in area da rigore, generalmente forti fisicamente e di testa, ma a volte anche agili e reattivi. Stella di sempre: Bobby Charlton.


La fine del dominio britannico: la grande Ungheria
L'iniziale dominio incontrastato degli inventori del calcio finì il 25 novembre 1953 quando la nazionale di calcio ungherese sconfisse pesantemente i maestri per 6-3, per giunta nella cattedrale del calcio: lo stadio di Wembley a Londra. Gli inglesi fino a poco tempo prima si erano rifiutati di affrontare nazionali straniere e di partecipare alle competizioni internazionali, orgogliosi della propria superiorità. Quando le frontiere si riaprirono, gli ex maestri si resero conto di essere stati raggiunti ed abbondantemente superati dallo splendido gioco della scuola ungherese la cui nazionale nel 1938 aveva perso un campionato mondiale solo in finale contro l'Italia.

Ma la nazionale che vinse a Wembley fu senza dubbio la più forte degli anni cinquanta e a detta di molti, una delle più belle della storia di questo sport. Un anno prima del 6-3 questa squadra si era aggiudicata l'oro olimpico di Helsinki senza molte difficoltà. Gli ungheresi hanno sempre brillato per la loro tecnica sopraffina e le giocate spettacolari, ma nessuna nazionale o squadra di club raggiunse la competitività di quell'Ungheria.

Era una squadra basata sul blocco della Honved, la squadra dell'esercito magiaro. Una formazione composta da talenti come Ferenc Puskás (forse il migliore in assoluto, fece la fortuna del Real Madrid), Josef Bozsik, eccellente interprete del ruolo di mediano e Sandor Kocsis in attacco insieme a Nandor Hidegkuti che giocava da centravanti mimetizzato da centrocampista. Da non dimenticare Laszlo Kubala che giocò a lungo nel F.C. Barcelona, considerato dai tifosi blaugrana il migliore della storia del loro club.

La Grande Ungheria perse la finale del Mondiale 1954 contro la Germania Ovest per 3-2. Non sono molti ad avere dubbi che per qualità del gioco, avrebbero meritato la vittoria gli ungheresi; inoltre nei mesi successivi alla finale i giocatori della Germania Ovest ebbero tutti gravi problemi di salute così da alimentare fortemente l'ipotesi che ad essi venne somministrata una massiccia dose di doping.


La scuola italiana: il catenaccio
Negli anni sessanta si è affermata la scuola italiana. I teorici del gioco all'italiana sono stati Gipo Viani, Nereo Rocco ed Helenio Herrera che pure era argentino. Si tratta di un modo di giocare che predilige la fase difensiva e predispone un sistema formato da un giocatore libero da compiti di marcatura (una lezione figlia dei terzini metodisti) che agisce alle spalle di due marcatori puri e di un fluidificante, generalmente mancino; il centrocampo è imperniato su due mediani di rottura, anche se spesso uno dei due è un centrocampista polivalente, capace di ricoprire più ruoli nel corso di una partita; davanti a questi o al loro fianco, in posizione centrale, agisce il regista, che ha il compito di organizzare l'intera manovra. La fase di offesa, che nasce dalle aperture o dalle incursioni palla al piede del regista, si sviluppa intorno ad un'ala (solitamente destra), una punta centrale e una seconda punta di raccordo che svaria sul fronte d'attacco.

Le vittorie di Herrera con l'Inter e di Rocco col Milan hanno confermato nella pratica questa filosofia calcistica, anche se è pur vero che la scuola italiana aveva prodotto eccezionali giocatori di difesa come Giacinto Facchetti, Giovanni Trapattoni, Cesare Maldini, Tarcisio Burgnich e giocatori d'attacco dalla grande fantasia come Mario Corso, Gianni Rivera e Sandro Mazzola. Una scuola prevalentemente difensivista che ha sempre prodotto anche tanti grandi attaccanti e fantasisti.


Alla base della filosofia italiana c'è un attento studio dell'avversario e la grande importanza data alla tattica, due misure oggi adottate quasi ovunque nel mondo del calcio. Pensando soprattutto a non subire reti, la scuola italiana ha modificato alla tattica introducendo la marcatura a uomo in ogni parte del campo e l'impiego sistematico del libero, un difensore d'emergenza senza obblighi di marcatura che giocava dietro la linea dei difensori. Adottare la marcatura a uomo con il libero significa in molti casi uccidere lo spettacolo e stroncare sul nascere ogni iniziativa avversaria. Il cosiddetto catenaccio. Un metodo che veniva considerato dagli avversari (ma anche oggigiorno) in termini negativi: una squadra poteva arrivare a subire per 89 minuti il gioco avversario ma in una sola azione fiondandosi in contropiede o inventando qualche situazione particolare poteva risolvere la partita senza timore di subire reti... quasi come qualcosa di antisportivo, al limite del regolamento.
Tuttavia è pure vero che il calcio italiano ispirandosi alla scuola olandese degli anni settanta ha saputo produrre anche esempi di calcio offensivo, come nel caso del Milan allenato da Arrigo Sacchi negli anni ottanta. Si è trattato di una squadra votata all'attacco e al gioco corale, non trascurando la fase difensiva; ha saputo raggiungere grandissimi risultati anche se soprattutto per merito di stelle straniere.


Il "calcio totale" degli olandesi

Agli albori degli anni settanta, in pieno clima di rivoluzione nella società, anche il calcio ebbe la sua. Si chiamava Olanda. La scuola olandese deve la sua affermazione soprattutto a due persone: l'allenatore dell'Ajax Rinus Michels e il calciatore Johan Cruyff, considerato uno dei migliori di sempre, senza il quale né la squadra di Amsterdam né la nazionale orange avrebbero potuto tradurre sul campo, e con tanta efficienza, la propria forza innovativa.

Quando si parla di "calcio totale" ci si riferisce al gioco che mostrarono prima il PSV Eindhoven e subito dopo l'Ajax e la selezione olandese: qualcosa di mai visto prima, almeno non in maniera tanto sistematica. Ogni giocatore doveva saper interpretare tutti i ruoli: il difensore saliva ad attaccare, il portiere avanzava per rilanciare immediatamente l'azione, un attaccante poteva e doveva tornare indietro ad aiutare i compagni in fase di non possesso palla. Perché questo potesse verificarsi erano necessarie continue rotazioni di ruolo, con movimenti a scalare e complicati meccanismi tattici.

Ogni giocatore, anche un centrale difensivo o un portiere, doveva saper giocare benissimo il pallone e non buttarlo mai via; tutti e undici dovevano muoversi e correre costantemente per tutti i 90 minuti. Nei pochi momenti in cui i giocatori non correvano, era il pallone a farlo, con una rapida successione di passaggi, la cosiddetta melina, preludio di un'intensa accelerazione del gioco. Alcune di queste caratteristiche oggi appaiono piuttosto scontate per qualsiasi squadra professionista, ma fu l'Olanda a farle vedere per prima su un campo di calcio.

La nazionale olandese, chiamata anche l'arancia meccanica, poteva contare su altri grandi talenti come le due ali Johnny Rep e Rob Rensenbrink, il difensore esterno Ruud Krol, Johan Neeskens, considerato il "gemello" di Cruyff e altri ancora: una generazione particolarmente dotata, capitanata da Johan Cruyff. Simbolo del giocatore in grado di interpretare ogni ruolo e sapersi adattare ad ogni situazione, velocissimo e dal gran senso tattico. Di base era un centravanti e ha segnato diversi gol ovunque abbia giocato.

Con questi uomini, compreso l'allenatore Michels, l'Ajax vinse tre Coppe dei Campioni consecutive dal 1971 al 1973 e l'Olanda perse una finale Mondiale nel 1974 contro la Germania Ovest. Michels si prese la rivincita nel 1988 quando vinse il campionato europeo con un'altra grandissima generazione di calciatori.

Oggi la scuola olandese percorre la stessa strada tracciata 35 anni fa e continuano a nascere ottimi giocatori praticamente a getto continuo. Le loro caratteristiche sono quelle classiche di un giocatore orange: duttilità, tecnica, sapienza tattica.


Scuola tedesca: concretezza e vittoria
C'è una frase molto famosa di Gary Lineker, attaccante inglese degli anni ottanta, che potrebbe servire ad introdurre la "scuola tedesca": «Il calcio è un gioco molto semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti e, alla fine, vincono i tedeschi».

Il modello teutonico non riscuote grandi simpatie dai non tedeschi, un po' come succede agli italiani. Il motivo è molto simile: si tratta di una riedizione del gioco all'italiana basato sulla difensiva, che non contempla lo spettacolo. Nella scuola teutonica però i terzini a turno alimentano la fase offensiva e lo strapotere fisico di alcuni giocatori danno un lustro leggermente più offensivo alla disposizione in campo. Nel 1974, la finale mondiale Olanda - Germania Ovest rappresentò lo scontro tra due filosofie opposte di calcio. La Germania Ovest si preoccupò di difendersi dagli attacchi olandesi dando l'impressione di essere ben più debole della sua avversaria. Sotto di un gol, finì per rimontare e vincere la partita.

Ma quella non fu l'unica rimonta "impossibile" dei tedeschi, nel 1954 accadde qualcosa di molto simile all'Ungheria che pure giocava un calcio di gran lunga più bello ed arioso di quello tedesco, che tuttavia poteva contare sul grande temperamento e spirito di sacrificio dei suoi giocatori, e una compattezza in campo invidiabile.

Negli anni settanta la Germania Ovest era formata dal blocco del Bayern Monaco, l'altra grande del decennio che, di fatto, prese il trono lasciato libero dall'Ajax. In quel Monaco giocavano Franz Beckenbauer e Gerd Müller. Il primo era un libero con una spiccata qualità tecnica, in grado di lanciare l'azione d'attacco e gestire i tempi del gioco. Il secondo, un centravanti non appariscente, né fisicamente né sul piano delle giocate, ma in grado di farsi trovare sempre pronto a mandare la palla in gol. Lo testimoniano le quantità immense di reti segnate.

I caratteri della scuola tedesca sono rimasti invariati fino ad oggi.


La scuola spagnola
Si tratta di una concezione di calcio basata sul possesso palla, sulla verve agonistica, sul gioco corale che porta ad offendere con più uomini diversi, ma con un ritmo più cadenzato rispetto al calcio centro-europeo. Real Madrid e F.C. Barcelona hanno portato questa filosofia ai livelli più alti, anche se soprattutto per merito di stelle straniere.


La scuola portoghese
Il calcio portoghese adotta un gioco molto tecnico, palla a terra, passeggiato e sempre in attesa di un'invenzione o una giocata di fino per le soluzioni offensive. In questo è molto più vicino al calcio brasiliano che europeo. La grande carenza della scuola portoghese è di non aver mai saputo produrre (ad eccezione del grandissimo Eusebio) centravanti prolifici. Questo handicap ha pesato moltissimo sulla carenza di vittorie a livello di nazionale, mentre a livello internazionale di club ha un palmares di tutto rispetto.





Il calcio allegro dei brasiliani
Il calcio brasiliano rappresenta la massima espressione dell'allegria e del puro divertimento volto ad intrattenere. Grazie ad una filosofia di gioco volto all'innata musicalità (detto appunto calcio bailado) e senso della tecnica, i brasiliani possono essere dichiarati i più grandi interpreti di questo gioco, non solo per i grandissimi risultati ottentuti nelle competizioni internazionali, cinque volte campione del mondo per nazione (1958, 1962, 1970, 1994, 2002), ma anche per i grandissimi fuoriclasse che questa scuola ha saputo produrre, Pelé, Garrincha, Vavà, Altafini, Zico, Eder, Falcao, Socrates, Careca, Romario, Bebeto, Ronaldo, Ronaldinho, Adriano, Kakà, Roberto Carlos e tantissimi altri. La scuola brasiliana di inizio secolo si caratterizzava da grandissime doti tecniche e di palleggio che riuscivano a sopperire le carenze tattiche che solo negli ultimi decenni, con la partecipazione di giocatori brasiliani in club europei, ha saputo colmare. Al riguardo sono degli esempi di sviluppo del pensiero difensivo l'utilizzo di giocatori di difesa in grandi club europei di giocatori brasiliani permettendo alla scuola brasiliana di ottenere nuove conoscenze dallo studio del calcio europeo.


La scuola argentina a passo di tango
Come la composizione etnica del loro paese suggerisce, gli argentini hanno sviluppato una concezione calcistica prettamente europea, mantenendo una contaminazione propria del sudamerica in misura molto inferiore a tutte le altre scuole d'oltreoceano. È una delle massime espressioni del calcio mondiale sia a livello individuale avendo dato i natali ad alcuni tra i migliori giocatori del pianeta calcio, come Maradona, che di nazionale con la vittoria di titoli al massimo livello, come pure nella categoria dei club in competizioni internazionali, continentali e mondiali, ad esempio col Boca Juniors.

Uruguay: gli italiani del Sudamerica
Con un gioco vigoroso, molto fisico e difensivista gli uruguagi hanno saputo raccogliere vittorie sia a livello di nazionale che a livello di club con il Peñarol. Dotati della famosa Garra (grinta) le formazioni di questa scuola si presentano agguerrite ed a livello tattico dotate di un insolito centromediano metodista, una specie di libero dello schema italiano, ma schierato davanti alla difesa con compiti di interdizione e marcatura quando la squadra subisce, e come perno centrale per il rilancio dell'azione quando la squadra è in possesso di palla.


La scuola balcanica
In forte declino negli ultimi anni, le squadre slave, grazie ad una innata eleganza nei movimenti e bravura nei fondamentali generalmente diffuse tra i propri giocatori, hanno sempre messo in mostra un calcio fatto di tecnica e fantasia, ma anche di duri contatti fisici. I ct non sceglievano i giocatori più utili alla squadra o al modulo tattico, ma semplicemente facevano giocare i più bravi, anche fuori posizione. Questo, unito ai frequenti litigi interni e a una fase difensiva di poco spessore, non ha permesso ai club e alle nazionali di raggiungere vittorie di primo piano. Comunque, puntando fortemente sui singoli hanno fatto conoscere al mondo innumerevoli campioni, tra cui Dragan Dzajic e Dejan Savicevic, entrambi ala sinistra dell'ex-Iugoslavia e connazionali del regista Dragan Stojkovic, Gheorghe Hagi, trequartista rumeno, Hristo Stoichkov, punta bulgara, Davor Suker, punta croata, Zvonimir Boban, regista croato.


Il calcio del secolo XXI: nuove scuole nascenti? [modifica]
Il calcio è ormai diffuso anche tra le donne: nella foto, la finale di Coppa UEFA femminile 2005 tra il Potsdam e il DjurgårdenDurante il secolo di calcio appena trascorso si è potuto osservare una notevole alternanza di scuole calcistiche e di filosofie di gioco che hanno contribuito a creare una precisa identità sportiva per ogni nazione e relativi campionati. Oggi, nel calcio del XXI secolo, queste differenze maturate nel corso degli anni si sono radicate e conservate anche se è sempre più possibile osservare, col passare del tempo, una certa generalizzazione degli stili di gioco nei vari paesi. Le varie scuole calcistiche, pur conservando tutt'ora delle caratteristiche specifiche, si sono amalgamate tra loro. Questo fenomeno è stato possibile grazie alle oramai sempre più frequenti opportunità di confronto con altre mentalità sportive, garantite dalle competizioni europee.

Uno dei punti comuni in cui ci si è principalmente mossi in questi anni è quello della maniacale preparazione atletica e fisica dei giocatori. È infatti possibile notare abissale differenza con le generazioni calcistiche di un neanche tanto remoto passato: una velocità di manovra nettamente superiore, squadre più corte e un pressing accentuato fin dalla metà campo avversaria. Questa grande attenzione all'aspetto atletico resta ovviamente in funzione dei tatticismi moderni che richiedono come già detto una grande velocità di manovra e frequenti sovrapposizioni offensive. È chiaro come nel panorama attuale, assistere a evoluzioni eclatanti come è avvenuto negli anni passati sia molto più difficile; assistiamo quindi a delle piccole variazioni che tuttavia, nelle complicate meccaniche di gioco moderne, possono fare la differenza.

Negli ultimi anni ha assunto grande importanza la costituzione di un gruppo solido, compatto e convinto delle proprie capacità: è stato dunque ridefinito il concetto di "squadra". La componente psicologica è un aspetto fondamentale in questo processo ed è in gran parte delegata all'allenatore a cui spesso si affianca un leader carismatico in campo. Tale credo ha permesso a squadre di fascia "medio - bassa" di imporsi nelle principali competizioni europee, come dimostrano i successi di Porto e Grecia nel 2004 (rispettivamente in Champions League e Campionato Europeo) e più recentemente anche del Liverpool, che dopo anni di anonimato internazionale è riuscito nella grande scalata europea.

Proprio l'allenatore di quel Porto campione d'Europa e adesso del Chelsea, José Mourinho, è forse il principale interprete di questa rinnovata concezione di squadra a cui ha affiancato diverse meccaniche tattiche volte ad una maggiore velocità nella circolazione della palla. Con il Chelsea di Mourinho si è spesso parlato di una nuova rivoluzione calcistica, e in effetti gli immediati successi e lo schiacciante dominio nel campionato inglese dimostrano un approccio sicuramente efficace ed innovativo. Attualmente è l'allenatore portoghese ad aver apportato i cambiamenti più efficaci nel panorama calcistico inglese. Tra gli altri allenatori che hanno portato questo concetto nuovo di squadra anche alle più blasonate formazioni europee, va senza dubbio menzionato anche Fabio Capello, ex-allenatore della Juventus ora al Real Madrid. Il tecnico italiano ha saputo costruire, su una base di grandi giocatori, quella solidità e quel concetto di gruppo che sta avendo tanto successo. Con il prendere piede di questa nuova mentalità, si spiega anche la crisi di alcune importanti squadre europee in questo periodo: in particolare ricordiamo il Real Madrid e il Manchester United, due grandi del passato anche recente che pur potendo contare su grandi giocatori sembrano aver smarrito la propria identità di gruppo.
 
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Billy88
view post Posted on 19/6/2007, 10:40     +1   -1




e la madonna!!!!! cmq FORZA MILANNNNNNNNNNNNNN
 
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view post Posted on 19/6/2007, 13:00     +1   -1
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però.... cmq secondo me lo sport piu bello in assoluto
 
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Billy88
view post Posted on 19/6/2007, 18:36     +1   -1




no x me e il basket il meglio in assoluto!!
 
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view post Posted on 19/6/2007, 18:37     +1   -1
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da giocare magari si, ma da guardare preferisco il calcio.
 
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AryMelc
view post Posted on 5/7/2007, 22:18     +1   -1




FORZA LIVERPOOL
 
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Zio Jonny
view post Posted on 7/7/2007, 08:19     +1   -1




hem... ary.... no.... :nono: liverpool proprio nonono!!!! :bash:
:P

Comunque bel copia-incolla! :rolleyes:
 
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Pieer P@zzo
view post Posted on 7/7/2007, 09:31     +1   -1




no l'ho scritto tutto io asd
 
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AryMelc
view post Posted on 7/7/2007, 12:55     +1   -1




CITAZIONE (Zio Jonny @ 7/7/2007, 09:19)
hem... ary.... no.... :nono: liverpool proprio nonono!!!! :bash:
:P

Comunque bel copia-incolla! :rolleyes:

Perchè no tesoro? :rolleyes:
 
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Pieer P@zzo
view post Posted on 7/7/2007, 13:53     +1   -1




NO FLOOD
 
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Billy88
view post Posted on 18/7/2007, 19:51     +1   -1




xche il liverpool a noi milanisti non puo andare bene! mi disp ma forza milan
 
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*M@rço*
view post Posted on 18/7/2007, 20:28     +1   -1




no ary, mi sei calata.

Forza Milan!
 
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bengi
view post Posted on 20/7/2007, 14:55     +1   -1




io anke se faccio basket devo dire ke il calcio m è sempre piaciuto tntissimo ed è lo sport + bello e in cui noi italiani siamo i + forti.....nn per niente siamo....CAMPIONI DEL MONDOOO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!



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eminem1993
view post Posted on 28/10/2007, 18:44     +1   -1




l calcio è il mio sport preferito..ank se ho fatto piscina x 10 anni!!
 
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view post Posted on 29/10/2007, 10:56     +1   -1
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36 replies since 19/6/2007, 09:28   132 views
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